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A NATALE FAI FIORIRE LA SOLIDARIETÀ

Il Natale di Salute e Sviluppo quest’anno si arricchisce di profumo e di colore, non abbiamo pensato alla classica Stella di Natale, ma alla calendula, i cui semi sono contenuti alla sommità della nostra matita.
La calendula è un fiore coloratissimo e molto particolare: fin dall’antichità è stato usato per lenire le ferite grazie alle sue proprietà anti infiammatorie e cicatrizzanti. Il nome calendula deriva dal fatto che questo fiore si apre al mattino per poi richiudersi al tramonto, uno scandire del tempo preciso che ogni giorno si ripropone, senza temere le avversità.
Abbiamo scelto questo fiore per simboleggiare il nostro lavoro: Salute e Sviluppo nasce dal desiderio di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più in difficoltà dei paesi in via di sviluppo, con progetti di natura sanitaria, formativa ed alimentare. Tutte le nostre attività sono radicate al territorio e pensate per garantire un reale beneficio. Come la calendula, le nostre azioni sono durature e continuano ad avere effetti positivi nel lungo periodo.
Scegli la matita di Salute e Sviluppo per uno speciale regalo natalizio, donala ai tuoi cari e aiutaci a portare avanti i nostri progetti, ad aiutare coloro che sono in difficoltà. Usa la nostra mail o i nostri canali social, scrivici e scopri di più su come ottenere una bellissima matita da cui un giorno nascerà un fiore.
Grazie alla matita di Salute e Sviluppo contribuirai anche tu a far fiorire la solidarietà!

AL VIA LE LEZIONI NELLA SCUOLA MATERNA DI GARANGO!

Garango vi ricorda qualcosa? Ebbene sì, è la località del Burkina Faso centro orientale di cui vi abbiamo parlato più volte nel corso dell’anno: qui nella Diocesi di Tenkodogo a inizio febbraio sono partiti i lavori di Realizzazione di una scuola materna, finanziati dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

Vi abbiamo già raccontato perché abbiamo scelto questa zona: l’estrema povertà e la carenza di strutture adeguate ai più piccoli dai 3 ai 5 anni. I bambini in età pre-scolare non avevano la possibilità di intraprendere un percorso di formazione propedeutico alla scuola elementare, sia per mancanza di scuole vicino alle abitazioni, sia per la reticenza delle famiglie che non sempre ritengono fondamentale l’istruzione dei propri figli.

Il progetto di Salute e Sviluppo si è inserito in questo contesto costruendo un edificio che andasse a colmare la mancanza di infrastrutture. Già al termine dello scorso mese la scuola era stata completata e durante le prime settimane di ottobre sono stati comprati gli arredi per le tre grandi aule: sedie, banchi, lavagne. Dopo l’inaugurazione avvenuta domenica, le lezioni sono iniziate lunedì con tanti bambini che sono entrati nelle loro nuove aule per iniziare il percorso scolastico.

Siamo davvero felici di annunciarvi questo importante traguardo e siamo molto contenti di aver dato la possibilità a più di 100 bambini di incominciare l’anno scolastico in linea con le tempistiche abituali.

Tutti i progetti di Salute e Sviluppo, come spesso abbiamo ricordato, tendono ad essere radicati al territorio e ben integrati nel contesto sociale: tutto il personale scelto per accompagnare i bambini in questo percorso di apprendimento è del luogo, i piccoli avranno il supporto di educatrici locali, una mensa in cui consumare un pasto regolare al giorno e tutto il necessario per passare i loro primi anni in maniera spensierata ed educativa.

Il progetto ha un obiettivo secondario – importante quanto il primario – educare e sensibilizzare gli adulti della comunità sull’importanza dell’istruzione, su come risulta fondamentale per il corretto sviluppo e la crescita del bambino e di come assume ancora più rilevanza in un contesto come quello del Burkina di instabilità ed incertezza.

Vi abbiamo raccontato il progetto la prima volta a marzo, appena sono iniziate le attività, vi abbiamo aggiornato a luglio sui lavori che procedevano speditamente e adesso siamo contentissimi di questa notizia e di vedere come tanti bambini sono già seduti ai loro banchi, pronti a vivere una nuova avventura.

LATTE SANO E FORMAGGIO A BAGRÉ

Noi di Salute e Sviluppo siamo particolarmente felici di annunciarvi la conclusione del progetto Latte Sano in Burkina Faso: è stata un’avventura lunga ed impegnativa che ci ha visto nell’area di Bagré per ben 5 anni, ma che alla fine ha dato i suoi frutti e le sue soddisfazioni.
Abbiamo spesso parlato del Burkina Faso e delle condizioni di vita della popolazione locale: in particolare l’area centro orientale del paese ci ha visto impegnati in numerosi progetti, tutti finalizzati ad aumentare la qualità di vita di coloro che abitano questa regione particolarmente povera e provata dal punto di vista alimentare e sanitario. Deficitaria risulta essere la produzione di latte che, o viene importato o – molto spesso – è infetto a causa di animali malati e non controllati. Salute e Sviluppo decide di inserirsi in questo contesto con l’obiettivo di sanare questa mancanza.

Nel 2017 iniziano le attività che, finanziate dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) tramite i fondi dell’8×1000 alla Chiesa Cattolica, procedono in maniera spedita fino all’anno successivo. Nel 2018 la situazione del paese muta radicalmente: una forte situazione di instabilità politica e sociale rende il Burkina Faso pericoloso e, di conseguenza, la movimentazione di risorse umane e materiali subisce un rallentamento. Poco dopo la pandemia globale è causa di un nuovo fermo.

Da circa un anno i lavori sono ricominciati e hanno portato al completamento delle opere strutturali e architettoniche che, negli ultimi mesi, sono state dotate di tutti i macchinari necessari, provenienti dall’Italia tramite container. Il progetto ha previsto varie fasi: prima la costruzione di una stalla e l’acquisto di bestiame, tutte le vacche sono state importate nell’area, sottoposte a quarantena e controllate dai veterinari locali che hanno garantito la salubrità degli animali. In un secondo momento sono stati allestiti i locali appositi per la mungitura, la raccolta del latte, il confezionamento e tutte le attività di produzione casearia. Quest’ultima fase ha visto p. Felice de Miranda, presidente di Salute e Sviluppo, in missione in Burkina Faso con due esperti che hanno insegnato alle comunità locali a lavorare correttamente il latte e a produrre vari tipi di prodotti derivati, dallo yogurt al formaggio fresco e stagionato.

Il progetto di Salute e Sviluppo è stato pensato per avere più di un beneficiario: da una parte tutti coloro che sono impiegati nelle varie attività della filiera percepiscono un reddito e hanno la possibilità di lavorare e mantenere le proprie famiglie, gli abitanti della zona possono finalmente avere accesso a tutta una serie di prodotti non reperibili al mercato locale, avendo, peraltro, la certezza di mangiare cibo sano. Questi prodotti serviranno anche a rifornire le scuole della zona e gli ospedali camilliani, per migliorare le condizioni alimentari dei più piccoli e dei più deboli.

Le attività di Salute e Sviluppo hanno come requisito fondamentale l’essere assolutamente sostenibili, radicate al territorio e fondamentali per lo sviluppo autonomo della popolazione locale. Questo progetto ne è la prova: la formazione del personale è stato l’ultimo tassello del progetto – ma uno dei più importanti – ora i locali hanno la possibilità di procedere in autonomia migliorando e aumentando la produzione lattiero-casearia.

È risultato decisivo il supporto dei camilliani locali che per primi hanno individuato la necessità di aiutare l’area di Bagré e che ci hanno coadiuvato durante tutte le attività. Anche ora, nonostante la fine del nostro progetto, abbiamo la certezza che il loro appoggio risulterà fondamentale per fare in modo che la filiera casearia continui a funzionare correttamente.
Ringraziamo la CEI che ci ha dato la possibilità di portare a termine un progetto che migliorerà le condizioni di vita della popolazione burkinabé, molto provata dalla situazione del proprio paese e per questo ancora più bisognosa di aiuto.

Volete assistere anche voi alla formazione del signor Fausto? Venite a scoprire come si produce il formaggio cliccando qui: https://www.youtube.com/watch?v=eIFzFgbb3mg&t=36s

Covid-19: quali criticità nel continente africano?

Il virus Covid-19 ha ormai raggiunto tutti gli Stati africani, ma resta ancora l’interrogativo su come l’epidemia si diffonderà nel continente. Sono ancora troppo pochi i dati a disposizione e troppi i fattori che incidono sulla sua evoluzione: climatici, genetici, sociologici e demografici.
L’organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha dichiarato che i Paesi del continente ad oggi – 5 aprile – più colpiti sono quelli all’estremità: il Sudafrica con (1585 casi e 9 decessi), l’Egitto (1173 casi e 78 decessi), l’Algeria (1320 casi e 152 decessi).

Tuttavia, prevedere i contagi e l’andamento dei dati è pressoché impossibile in un continente che ospita la maggior parte degli Stati con i più bassi Indici di Sviluppo Umano (ISU), dove in alcuni Paesi ci sono solo 5 medici ogni 100.000 persone. Si può invece ragionare sulle criticità che i territori africani possiedono e porterebbero ad aumentare in modo esponenziale la propagazione del virus.
Riflettiamo: possono essere adottate anche da questi Stati le raccomandazioni dell’OMS e le misure di contenimento che ad oggi stanno adottando gli Stati europei? In alcune aree esse sono di difficile attuazione, se non controproducenti.

– “Lavare spesso le mani”

Pensiamo banalmente a questa semplice norma igienica. In che modo può essere adottata in zone dove non vi è la possibilità di reperire facilmente acqua? Questa mancanza implica da un lato uno spostamento delle persone per raggiungere i pozzi o centri di distribuzione e dall’altro la formazione di aggregazioni per poterla raccogliere.

– “Evitare contatti ravvicinati, mantenendo la distanza di almeno un metro”
La possibilità di auto-isolarsi risulta ardua e controproducente. Negli slums, dove le distanze tra una baracca e l’altra difficilmente raggiunge i due metri di distanza e in cui la densità di popolazione è elevata, com’è possibile evitare il contagio? Inoltre, lo stile di vita all’interno dei villaggi è basato sulla comunità e il concetto di famiglia è differente: una famiglia che vive nella stessa abitazione è composta normalmente oltre dal nucleo madrepadre e figli, anche da zii e cugini. Il rischio di contagio è quindi raddoppiato.

“Usare la mascherina se si sospetta di essere malati. Pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol”
La maggior parte degli Stati riceve materiale medico dall’estero, non avendo una produzione interna e in questo momento di crisi globale le risorse hanno difficoltà a raggiungere determinati luoghi a causa delle spedizioni fortemente ritardate e per la mancanza di disponibilità numerica.
Inoltre, le attrezzature mediche già presenti negli Stati non sono sufficientemente adeguate ed avanzate per poter affrontare un numero di contagi come in Italia o negli Stati Uniti. In molti Paesi le strutture sanitarie non sarebbero in grado di assistere un numero elevato di pazienti: in Kenya, ad esempio, esistono solo 155 posti letto in terapia intensiva, in Sud Sudan sono pari a zero e non esistono fondi statali o privati in grado di sopperire a questa mancanza.
Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’OMS, ha avvertito che “se il virus dovesse arrivare nelle metropoli africane come Lagos, Addis Abeba o Il Cairo, visto anche il livello di povertà e la carenza di strutture ospedaliere, il contagio diventerebbe una catastrofe”.

– “Se si hanno sintomi simili all’influenza rimanere a casa”
Le infezioni respiratorie sono molto diffuse e sono una delle principali cause di morte; i sintomi sono tuttavia simili all’infezione da Covid-19 e non sarebbe possibile senza esami specifici distinguere polmoniti dovute ad infezioni “normali” e quelle causate da Coronavirus, rendendo più difficile stilare la mappa dei possibili contagi, contenendo la grandezza dell’epidemia.

A queste criticità si aggiungono, inoltre, condizioni di malnutrizione e/o denutrizione, che indeboliscono il sistema immunitario. Anche se non vi sono sufficienti dati che affermino che le persone malnutrite possano essere maggiormente colpite dal virus, sviluppando anche patologie più gravi, il loro sistema immunitario è sicuramente più fragile e compromesso rispetto a una persona in salute.
Altro fattore di problematicità è l’instabilità politica di molti Stati, che rende difficile una risposta pronta ed efficace per limitare la diffusione del virus.
Il dato positivo è invece l’età media della popolazione del continente africano: 18 anni rispetto ai 45 dell’Italia.
Ci sono state altre epidemie, come quella dovuta all’ebola (2014-2016) che ha causato più di 11 mila morti in dieci Paesi, tuttavia tenuta sotto controllo grazie anche ad aiuti esteri; ma oggi con una pandemia in atto è estremamente più complicato per gli Stati fornitori di aiuti umanitari offrire un soccorso ampio, sia dal punto di vista logistico che economico, trovandosi già in difficoltà sul proprio territorio nazionale.

Dopo la dichiarazione di pandemia dell’Oms, i governi africani hanno iniziato ad adottare delle misure di distanziamento sociale, per evitare il propagarsi del contagio: chiusura delle scuole, limitazione di trasporti urbani e interurbani, l’implementazione di coprifuochi, divieto di aggregazione, di feste e riti religiosi. Con esse però sono nati dei forti malumori da parte della popolazione che lamenta il danno economico per la chiusura delle attività.
La fascia più povera della popolazione, attraverso ad esempio la vendita di prodotti presso i mercati, guadagna il giusto per la sopravvivenza quotidiana senza la possibilità di creare un risparmio. In Kenya si sono creati disordini sociali perché la popolazione domanda se le vittime saranno causate dal virus o dalla fame. Altri disordini sono causati dalla caccia agli “untori”, dovuto alla veicolazione di errate informazioni in cui europei e asiatici vengono individuati ed etichettati come portatori del virus nel continente. Diverse violenze verbali o fisiche sono state riscontrate in quasi tutti gli Stati africani, soprattutto in Sud Africa, Ghana e Burkina Faso.

Attualmente un nostro cooperante si trova a Tenkodogo, in Burkina Faso. Nel Paese ci sono più di trecento contagiati, per la maggior parte nella capitale Ouagadougou, componenti dei ceti più ricchi, a contatto con persone proveniente da altri Paesi o che hanno viaggiato recentemente.
Dal 21 marzo, il governo ha adottato misure restrittive sulla scia di quelle cinesi ed europee: sono state chiuse le frontiere, gli aeroporti e limitati gli spostamenti sul territorio nazionale. Sono stati vietati gli assembramenti per un numero maggiore di 15 persone.

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Siamo costantemente in contatto anche con i nostri referenti in Repubblica Centrafricana, dove la situazione per ora è tenuta sotto controllo (8 casi positivi). L’Onu ha inserito questo Stato tra i venti Paesi per i quali è prioritaria l’assistenza internazionale per far fronte all’emergenza Coronavirus, in quanto – in un territorio dall’estensione doppia rispetto a quella dell’Italia – esistono solo tre respiratori.
Presso l’ospedale San Giovanni Paolo II di Bossemptélé sono stati forniti strumenti utili per la protezione del personale sanitario e sono state adottate alcune misure necessarie per prevenire un focolaio. Gli incontri formativi previsti ad aprile, con la partecipazione del personale addetto ai dispensari dei villaggi e i curatori tradizionali, sono stati sospesi e rimandati. Inoltre, al termine dei briefing mattutini, effettuati tutti i giorni per la discussione dei casi del giorno precedente, è stata soppressa la consuetudine di stringere la mano ad ogni collega per augurarsi buon lavoro. Attualmente l’incontro viene effettuato mantenendo la distanza di sicurezza raccomandata dall’OMS ed evitando qualsiasi tipo di contatto.

 

medici RCA

 

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