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TANTI TRAGUARDI A BOSSEMPTÉLÉ

Non sono passati molti mesi da quando vi abbiamo parlato del nostro progetto Salute e nutrizione per la popolazione vulnerabile della Sotto-Prefettura di Bossemptélé, che rientra nel quadro programmatico dell’“Iniziativa di emergenza a sostegno della popolazione vulnerabile in Repubblica Centrafricana” finanziata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), e il cui scopo è il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione della sottoprefettura di Bossemptélé, particolarmente provata dall’instabilità del paese.

La Repubblica Centrafricana non ha mai goduto di una tranquillità tale da permetterle di crescere e prosperare; al contrario ha dovuto fare i conti con numerosi colpi di stato e altrettanti dittatori che, agendo senza scrupoli, hanno concesso lo sfruttamento delle risorse del paese, senza pensare alla popolazione sempre più sacrificata. La situazione degli ultimi anni è stata particolarmente difficile: gruppi di ribelli si sono scontrati più volte con le forze di stato, provocando violenze e morti soprattutto ai danni della popolazione più vulnerabile.

In questo contesto così complesso ha avuto un ruolo chiave l’Ospedale Giovanni Paolo II, che ha rappresentato un punto di riferimento per la popolazione della sottoprefettura. Nonostante gli scontri e la violenza, l’Ospedale ha sempre continuato ad operare e a dare supporto.

Il nostro progetto parte proprio dall’ospedale Giovanni Paolo II con l’intento di aumentare la sua capacità di rispondere in maniera adeguata ai bisogni e alle esigenze della popolazione. Prima del nostro intervento, la struttura non disponeva di un Pronto Soccorso appropriato in cui poter accogliere i pazienti urgenti. Adesso i lavori di ristrutturazione e ampliamento dei locali sono quasi ultimati ed entro la fine del progetto – dicembre 2022 – si prevede anche di fornire al Pronto Soccorso tutti gli arredi e i macchinari necessari.

Un’altra carenza riscontrata all’interno dell’Ospedale riguardava l’aspetto nutrizionale: un triplice problema considerando che la maggior parte dei pazienti al momento del ricovero versa in un grave stato di denutrizione, che il cibo è necessario per garantire un corretto percorso di cure e riabilitazione e che la maggior parte di coloro che provengono dai villaggi limitrofi, una volta giunti in città, non ha la possibilità di comprare niente al mercato locale a causa dei prezzi troppo alti.

Per tali motivi, si è deciso di costruire un locale mensa per garantire tre pasti completi al giorno – a base di cereali, carne o pesce – ai degenti, che in tal modo possono seguire un corretto regime alimentare e un sufficiente apporto calorico capace di favorire la loro ripresa. Il servizio mensa viene offerto anche ai parenti provenienti da lontano che assistono i pazienti che versano in grave stato di indigenza. Al momento vengono erogati più di 2250 pasti al mese.

Per migliorare la qualità dei servizi dell’Ospedale si è reso necessario formare 38 operatori sanitari in servizio in discipline specialistiche come l’ostetricia e l’oftalmologia. I percorsi di formazione stanno già portando ad un significativo miglioramento delle prestazioni ospedaliere.

Una delle componenti più ambiziose del nostro intervento è rappresentata dal rafforzamento dei presidi medici situati nei villaggi limitrofi a Bossemptélé, dove i servizi sono pressoché inesistenti. Grazie al progetto finanziato dall’AICS, abbiamo riabilitato – o in alcuni casi costruito ex novo – diversi postes de santé, ognuno dei quali dotato di un pozzo con accesso ad acqua potabile. I lavori sono quasi terminati e la popolazione dei villaggi di Gbawi, Bodangui, Bombalou e Yangoro ha già la possibilità di accedere ai servizi sanitari di base, senza dover intraprendere il viaggio fino alla città di Bossemptélé, se non strettamente necessario per la cura di patologie più complesse.

Non solo rafforzamento qualitativo dell’Ospedale e dei postes de santé, ma anche servizio di clinica mobile che, due volte a settimana, visita i villaggi più difficilmente raggiungibili fornendo cure ed educazione sanitaria con incontri di sensibilizzazione sulla prevenzione e sul primo soccorso.

Grazie al supporto dell’AICS, il nostro operato in Repubblica Centrafricana ha raggiunto nuovi traguardi che speriamo segnino l’inizio di una vita migliore per tante persone che vivono nella sottoprefettura di Bossemptélé.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del progetto Salute e nutrizione per la popolazione vulnerabile della Sotto-Prefettura di Bossemptélé AID 05/RCA/12049/2021 finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. I contenuti di questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità dell’autore e non rappresentano necessariamente il punto di vista dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo non è responsabile per le informazioni considerate errate, incomplete, inadeguate, diffamatorie o in qualche modo reprensibili.

UNA SCUOLA E TANTI INFERMIERI

Da poco è terminata la missione che ha visto la nostra Direttrice progetti, Mariella, e p. Felice de Miranda, Presidente di Salute e Sviluppo, impegnati in Repubblica Centrafricana per il consueto monitoraggio dei progetti in corso nel paese.

La zona in cui al momento stiamo operando fa parte della sottoprefettura di Bossemptélé, una zona particolarmente povera e carente di infrastrutture. L’unico polo sanitario presente nella zona è l’Ospedale Giovanni Paolo II che, come più volte abbiamo ricordato, è stato fondamentale per la popolazione soprattutto nei periodi più aspri della guerra civile combattuta nel paese.
Il primo gennaio del 2021 è iniziato il Progetto di realizzazione di una scuola infermieri: percorsi di formazione professionale per il miglioramento delle condizioni sanitarie in Repubblica Centro Africana, finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

L’obiettivo di questo progetto è quello di ultimare, entro il 2023, una scuola infermieri con lo scopo di formare personale specializzato che possa implementare i servizi erogati nell’Ospedale. Oltre alla costruzione della scuola, è prevista anche la realizzazione di una recinzione e di un pozzo. In un secondo momento arredi, computer ed altro materiale verrà acquistato per far fronte alle necessità degli studenti che intraprenderanno questo percorso di studi certificato e riconosciuto a livello nazionale, che si avvarrà della sinergia con l’Ospedale Giovanni Paolo II anche per i tirocini sul campo.

Se all’inizio dell’anno vi abbiamo mostrato le foto della costruzione del pozzo e l’inizio della recinzione, adesso possiamo annunciarvi che i lavori di costruzione dell’edificio stanno procedendo a buon ritmo, mentre i lavori per il pozzo e la recinzione sono stati terminati. Grazie a quest’ultima missione è stato possibile oltre che accertarsi dei passi in avanti, anche aiutare i referenti locali alla progettazione più ottimale della struttura che si prevede agibile fra pochi mesi.

Ci rende particolarmente contenti che dall’inizio del progetto ad oggi il riscontro della popolazione verso la nostra iniziativa, sia stato più che favorevole: se il primo anno gli studenti iscritti sono stati 11, quest’anno saranno selezionati 25 allievi su 30 candidati che hanno fatto domanda sottoponendosi al test di ammissione alla scuola. Tutti i docenti sono professori universitari provenienti da Bangui, che impartiscono alle classi un insegnamento di alto livello, al termine del quale viene rilasciato un diploma – previa valutazione positiva della commissione di esame – che vale nell’intero paese.

Inoltre, il prossimo anno scolastico parteciperanno alle lezioni anche gli operatori sanitari dei postés de santé dei villaggi della zona, poiché il governo centrafricano ha stabilito che tutto il personale sanitario pubblico debba necessariamente incrementare il livello di competenze. Le autorità governative hanno individuato nella nostra scuola infermieri il giusto luogo per la loro formazione teorica e pratica e si faranno carico del loro percorso di preparazione.

Oltre che aumentare il personale e gli standard ospedalieri, il progetto si pone come altro obiettivo quello di aumentare l’inclusione sociale e aiutare tanti giovani ad inserirsi in maniera costruttiva all’interno della società.

Da inizio anno ad oggi i passi in avanti sono notevoli, manca poco affinché la struttura sia completata. Questi risultati ci rendono ancora più orgogliosi, considerando la situazione della Repubblica Centrafricana che, ancora oggi, soffre una situazione di fortissima instabilità che mina alle basi la possibilità di migliorare e crescere. Speriamo di potervi dare tanti altri lieti aggiornamenti sulle nostre attività!

IL TUO 5XMILLE, IL NOSTRO IMPEGNO

A breve tutti noi dovremo iniziare a pensare alla dichiarazione dei redditi, per nessuno è un bel momento e quasi sempre rappresenta qualcosa che si cerca il più possibile di rimandare.

Questo è anche il periodo in cui si viene bombardati su qualsiasi piattaforma dalle pubblicità del 5x mille, in questo mare magnum di associazioni, ONG e ONLUS che annualmente si moltiplicano, fare una scelta non è mai semplice.

Si può dare a chi già si conosce, a chi viene sostenuto dalla propria parrocchia, ad un’associazione di cui sentiamo la pubblicità in televisione, ma spesso per pigrizia o per indecisione lasciamo il campo vuoto.

Salute e Sviluppo si pone come una valida alternativa con cui riempire quelle caselle del 5x mille.

Operiamo da più di 25 anni nei paesi in via di sviluppo, in particolare in quelli più poveri tra i poveri, come Burkina Faso e Repubblica Centrafricana.

Un punto di forza dei nostri progetti, tra i quali la realizzazione di ospedali, ambulatori, centri agro-zootecnici e scuole, è la loro sostenibilità futura, che è anche uno dei principali obiettivi. Tale finalità si raggiunge anzitutto promuovendo l’autosufficienza energetica con l’utilizzo di impianti solari fotovoltaici, pompe solari per l’alimentazione dei pozzi, impianti di biogas per l’alimentazione delle macchine e con un approccio altamente formativo del personale locale.

Noi di Salute e Sviluppo promuoviamo e sosteniamo il lavoro dei camilliani, che si distinguono nel mondo per la devozione e la cura verso i più sofferenti. Seguendo l’esempio di San Camillo de Lellis, operano in più di 50 paesi portando sostegno e conforto ai malati, per questo vengono chiamati Ministri degli Infermi.

SeS nasce in questo contesto: affiancando e operando con i camilliani, sostenendo e accrescendo la rete camilliana che porta salute e sviluppo nel mondo.

I progetti che promuoviamo non riguardano solo la sanità in senso stretto, ma hanno il desiderio di un miglioramento generale della vita dell’uomo in condizioni di indigenza. Oltre l’ospedale e tutto ciò che orbita intorno alla struttura sanitaria, ci impegniamo a costruire anche altre infrastrutture come i pozzi, fondamentali in luoghi come i paesi africani in cui l’acqua non rappresenta una normalità, o le scuole per dare la possibilità a tutti di ottenere un’istruzione, non solo scolare o pre-scolare, ma anche professionale, tenendo conto di tutte le fasce di popolazione che necessitano di aiuto.

Attualmente la nostra organizzazione è impegnata soprattutto in Repubblica Centrafricana, in Burkina Faso e in India. In questi paesi stiamo costruendo una scuola di formazione professionale per infermieri, garantendo servizi sanitari agli ammalati in ospedale e in villaggi remoti, realizzando un centro di produzione alimentare per distribuire cibo ai più bisognosi, accogliendo e accompagnando verso una vita dignitosa e indipendente minori sieropositivi.

Il tuo 5xmille concretamente cosa significa?

Significa che tu doni la percentuale delle tue tasse IRPEF senza alcun onere aggiuntivo ad un’associazione nella quale credi e che ritieni stia facendo un buon lavoro. Salute e Sviluppo non vuole convincerti, ma ti vuole invitare a guardare il mondo con i suoi occhi.

Il sorriso dei bambini, il volto degli adulti, le mani tese e la gioia per aver fatto qualcosa di buono: Salute e Sviluppo è tutto questo.

Stato di Emergenza in Repubblica Centrafricana

La situazione in Repubblica Centrafricana è estremamente delicata. Da fine dicembre a seguito delle elezioni presidenziali, continuano gli  scontri e attacchi da parte dei guerriglieri di un’alleanza di milizie che rifiuta la rielezione di Faustin-Archange Touadéra.

Ci sono state decine di vittime e una situazione di equilibrio e sicurezza sembra, ad oggi, lontana.

Questo accentua problematiche già presenti nel Paese: l’aumento del prezzo dei generi alimentari, la mancanza di acqua potabile, il blocco di beni essenziali provenienti dall’estero.

Lunedì scorso, l’ultimo grande attacco che, come denuncia Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari), ha colpito la MSR1, la principale via per i rifornimenti e il commercio del Paese che unisce la capitale Bangui al porto più vicino, in Camerun.

Anche il nostro servizio di clinica mobile, per ragioni di sicurezza, non può raggiungere i villaggi in cui offre servizi sanitari e psicologici alle comunità.

Le elezioni

I ricorsi dei rivali del presidente centrafricano Faustin-Archange Touadéra sono stati respinti dalla Corte costituzionale. Quest’ultimo è stato ufficialmente eletto con il 53,16% dei voti.

Lunedì 18 gennaio 2020, Danièle Darlan, il presidente della corte suprema ha dichiarato che Faustin Archange Touadéra “viene rieletto Presidente della Repubblica nel primo turno delle elezioni del 27 dicembre 2020“.
La Corte, tuttavia, ha abbassato il tasso di partecipazione al 35,25%, lontano dal 76,31% dei dichiaranti annunciato provvisoriamente il 4 gennaio.

I suoi oppositori hanno denunciato “frodi massicce” e l’impossibilità per due elettori su tre di votare.

Covid-19: quali criticità nel continente africano?

Il virus Covid-19 ha ormai raggiunto tutti gli Stati africani, ma resta ancora l’interrogativo su come l’epidemia si diffonderà nel continente. Sono ancora troppo pochi i dati a disposizione e troppi i fattori che incidono sulla sua evoluzione: climatici, genetici, sociologici e demografici.
L’organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha dichiarato che i Paesi del continente ad oggi – 5 aprile – più colpiti sono quelli all’estremità: il Sudafrica con (1585 casi e 9 decessi), l’Egitto (1173 casi e 78 decessi), l’Algeria (1320 casi e 152 decessi).

Tuttavia, prevedere i contagi e l’andamento dei dati è pressoché impossibile in un continente che ospita la maggior parte degli Stati con i più bassi Indici di Sviluppo Umano (ISU), dove in alcuni Paesi ci sono solo 5 medici ogni 100.000 persone. Si può invece ragionare sulle criticità che i territori africani possiedono e porterebbero ad aumentare in modo esponenziale la propagazione del virus.
Riflettiamo: possono essere adottate anche da questi Stati le raccomandazioni dell’OMS e le misure di contenimento che ad oggi stanno adottando gli Stati europei? In alcune aree esse sono di difficile attuazione, se non controproducenti.

– “Lavare spesso le mani”

Pensiamo banalmente a questa semplice norma igienica. In che modo può essere adottata in zone dove non vi è la possibilità di reperire facilmente acqua? Questa mancanza implica da un lato uno spostamento delle persone per raggiungere i pozzi o centri di distribuzione e dall’altro la formazione di aggregazioni per poterla raccogliere.

– “Evitare contatti ravvicinati, mantenendo la distanza di almeno un metro”
La possibilità di auto-isolarsi risulta ardua e controproducente. Negli slums, dove le distanze tra una baracca e l’altra difficilmente raggiunge i due metri di distanza e in cui la densità di popolazione è elevata, com’è possibile evitare il contagio? Inoltre, lo stile di vita all’interno dei villaggi è basato sulla comunità e il concetto di famiglia è differente: una famiglia che vive nella stessa abitazione è composta normalmente oltre dal nucleo madrepadre e figli, anche da zii e cugini. Il rischio di contagio è quindi raddoppiato.

“Usare la mascherina se si sospetta di essere malati. Pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol”
La maggior parte degli Stati riceve materiale medico dall’estero, non avendo una produzione interna e in questo momento di crisi globale le risorse hanno difficoltà a raggiungere determinati luoghi a causa delle spedizioni fortemente ritardate e per la mancanza di disponibilità numerica.
Inoltre, le attrezzature mediche già presenti negli Stati non sono sufficientemente adeguate ed avanzate per poter affrontare un numero di contagi come in Italia o negli Stati Uniti. In molti Paesi le strutture sanitarie non sarebbero in grado di assistere un numero elevato di pazienti: in Kenya, ad esempio, esistono solo 155 posti letto in terapia intensiva, in Sud Sudan sono pari a zero e non esistono fondi statali o privati in grado di sopperire a questa mancanza.
Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’OMS, ha avvertito che “se il virus dovesse arrivare nelle metropoli africane come Lagos, Addis Abeba o Il Cairo, visto anche il livello di povertà e la carenza di strutture ospedaliere, il contagio diventerebbe una catastrofe”.

– “Se si hanno sintomi simili all’influenza rimanere a casa”
Le infezioni respiratorie sono molto diffuse e sono una delle principali cause di morte; i sintomi sono tuttavia simili all’infezione da Covid-19 e non sarebbe possibile senza esami specifici distinguere polmoniti dovute ad infezioni “normali” e quelle causate da Coronavirus, rendendo più difficile stilare la mappa dei possibili contagi, contenendo la grandezza dell’epidemia.

A queste criticità si aggiungono, inoltre, condizioni di malnutrizione e/o denutrizione, che indeboliscono il sistema immunitario. Anche se non vi sono sufficienti dati che affermino che le persone malnutrite possano essere maggiormente colpite dal virus, sviluppando anche patologie più gravi, il loro sistema immunitario è sicuramente più fragile e compromesso rispetto a una persona in salute.
Altro fattore di problematicità è l’instabilità politica di molti Stati, che rende difficile una risposta pronta ed efficace per limitare la diffusione del virus.
Il dato positivo è invece l’età media della popolazione del continente africano: 18 anni rispetto ai 45 dell’Italia.
Ci sono state altre epidemie, come quella dovuta all’ebola (2014-2016) che ha causato più di 11 mila morti in dieci Paesi, tuttavia tenuta sotto controllo grazie anche ad aiuti esteri; ma oggi con una pandemia in atto è estremamente più complicato per gli Stati fornitori di aiuti umanitari offrire un soccorso ampio, sia dal punto di vista logistico che economico, trovandosi già in difficoltà sul proprio territorio nazionale.

Dopo la dichiarazione di pandemia dell’Oms, i governi africani hanno iniziato ad adottare delle misure di distanziamento sociale, per evitare il propagarsi del contagio: chiusura delle scuole, limitazione di trasporti urbani e interurbani, l’implementazione di coprifuochi, divieto di aggregazione, di feste e riti religiosi. Con esse però sono nati dei forti malumori da parte della popolazione che lamenta il danno economico per la chiusura delle attività.
La fascia più povera della popolazione, attraverso ad esempio la vendita di prodotti presso i mercati, guadagna il giusto per la sopravvivenza quotidiana senza la possibilità di creare un risparmio. In Kenya si sono creati disordini sociali perché la popolazione domanda se le vittime saranno causate dal virus o dalla fame. Altri disordini sono causati dalla caccia agli “untori”, dovuto alla veicolazione di errate informazioni in cui europei e asiatici vengono individuati ed etichettati come portatori del virus nel continente. Diverse violenze verbali o fisiche sono state riscontrate in quasi tutti gli Stati africani, soprattutto in Sud Africa, Ghana e Burkina Faso.

Attualmente un nostro cooperante si trova a Tenkodogo, in Burkina Faso. Nel Paese ci sono più di trecento contagiati, per la maggior parte nella capitale Ouagadougou, componenti dei ceti più ricchi, a contatto con persone proveniente da altri Paesi o che hanno viaggiato recentemente.
Dal 21 marzo, il governo ha adottato misure restrittive sulla scia di quelle cinesi ed europee: sono state chiuse le frontiere, gli aeroporti e limitati gli spostamenti sul territorio nazionale. Sono stati vietati gli assembramenti per un numero maggiore di 15 persone.

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Siamo costantemente in contatto anche con i nostri referenti in Repubblica Centrafricana, dove la situazione per ora è tenuta sotto controllo (8 casi positivi). L’Onu ha inserito questo Stato tra i venti Paesi per i quali è prioritaria l’assistenza internazionale per far fronte all’emergenza Coronavirus, in quanto – in un territorio dall’estensione doppia rispetto a quella dell’Italia – esistono solo tre respiratori.
Presso l’ospedale San Giovanni Paolo II di Bossemptélé sono stati forniti strumenti utili per la protezione del personale sanitario e sono state adottate alcune misure necessarie per prevenire un focolaio. Gli incontri formativi previsti ad aprile, con la partecipazione del personale addetto ai dispensari dei villaggi e i curatori tradizionali, sono stati sospesi e rimandati. Inoltre, al termine dei briefing mattutini, effettuati tutti i giorni per la discussione dei casi del giorno precedente, è stata soppressa la consuetudine di stringere la mano ad ogni collega per augurarsi buon lavoro. Attualmente l’incontro viene effettuato mantenendo la distanza di sicurezza raccomandata dall’OMS ed evitando qualsiasi tipo di contatto.

 

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L’emozione della missione: Mariella

Mariella, ci racconti come ti sei avvicinata al mondo della cooperazione internazionale e del terzo settore?

Al termine dei miei studi superiori in Sardegna, mi sono trasferita a Forlì per continuare la mia formazione. Sono sempre stata interessata a ciò che accadeva nel panorama internazionale e ho scelto così di frequentare il corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche. Durante gli ultimi anni del mio percorso universitario mi sono specializzata nel tema dei diritti umani, discutendo una tesi sulla diversa reazione della comunità internazionale rispetto ai casi del Kossovo e della Cecenia.
Successivamente, mi sono trasferita a Roma per frequentare un master in Tutela internazionale dei diritti umani, svolgendo un periodo di stage presso il Ministero degli Affari Esteri. Durante questa esperienza mi sono avvicinata al mondo delle Organizzazioni Non Governative e vedendone l’operato il mio interesse per il mondo del terzo settore è diventato più forte.
In seguito, ho conseguito un altro master in Project Manager della cooperazione internazionale e durante l’esperienza di stage sono entrata in contatto con Salute e Sviluppo, dove – dopo una parentesi professionale in Spagna – ho iniziato a lavorare stabilmente.

Di cosa ti occupi a Salute e Sviluppo?

Mi sono fin da subito occupata di progettazione e gestione dei progetti, dal 2013 mi occupo anche dell’amministrazione generale di SeS.

Cosa ti è piaciuto di Salute e Sviluppo come organizzazione?

Salute e Sviluppo mi è piaciuta subito sia per l’ambiente lavorativo stimolante e socievole nell’ufficio a Roma, sia per la tipologia di progetti.. sono continuativi nel tempo.
Spesso, una volta ultimato un progetto, manca un controllo successivo sul territorio. La sostenibilità nel tempo dei progetti di Salute e Sviluppo è invece garantita dal fatto che si avvale del supporto e affiancamento dei Camilliani nei vari paesi d’intervento, che – a prescindere dalla durata del progetto – saranno sempre presenti sul territorio per la loro missione, ovvero il sostegno sanitario alle fasce più vulnerabili della popolazione. Con SeS riusciamo a migliorare i loro servizi ospedalieri o costruirne dei nuovi.
Inoltre, apprezzo fortemente lo scambio multiculturale e inter-religioso. Ho osservato durante le missioni come al fianco dei missionari lavorino persone che spesso professano una religione differente. Vi è molto rispetto e stima reciproca, oltre che piena collaborazione.

Cosa ti ha spinta a scegliere di partire per le varie missioni?

Come detto prima, la mia passione per il terzo settore nasce durante il mio percorso universitario, dove mi sono avvicinata a materie che si occupavano di diritti umani. Il passaggio poi è stato naturale: dopo essermi occupata di difesa dei diritti umani, di burocrazia ministeriale, ho capito che avevo bisogno di qualcosa di più. Sentivo l’esigenza di vedere concretamente il lavoro sul campo, conoscere i beneficiari, vedere l’attivazione dei servizi. Posso sintetizzare che i miei occhi avevano bisogno di vedere realizzato ciò che progettavo sulla carta.

Cosa ti emoziona del tuo lavoro?

Mi emoziona vedere il nascere e il concludersi di qualcosa: poter partire in loco e vedere uno spazio in cui non vi è nulla… ritornarci e poterne osservare la trasformazione. Ad esempio, in una delle mie prime missioni, in Benin, mi sono emozionata vedendo – dopo più di un anno dall’inizio del progetto – come un terreno arido e isolato si fosse trasformato in un ospedale.. come funzionasse correttamente e fosse diventato anche centro di aggregazione.
E’ stupendo riscontrare come i progetti di Salute e Sviluppo, grandi o piccoli che siano, impattino concretamente sulla vita dei beneficiari, trasformandola e migliorandola.

Parti per Paesi in cui le condizioni che trovi non sono delle più facili.. E’ faticoso per te?

Sicuramente occorre avere un grande spirito di adattamento. Serve sia per le condizioni di vita quotidiana, sia per le situazioni di solitudine che talvolta bisogna affrontare.
Mi spiego meglio.. quando si parte in missione non si trascorre la maggior parte del tempo in una grande città, dove si ha modo di incontrare cooperanti o persone che svolgono lavori in diversi settori provenienti da Paesi di tutto il mondo. La permanenza nella capitale dura di solito solo qualche giorno. È un momento di passaggio prima di immergermi a 360 gradi nel vero contesto locale.
I nostri progetti si trovano soprattutto nelle aree più fragili e isolate di un Paese.. di conseguenza ci si ritrova in villaggi in cui difficilmente vi sono altri “espatriati” e/o non vi è la sicurezza per poter uscire da soli.

Qual è l’aspetto che ti piace delle missioni?

Senza dubbio l’incontro con la popolazione locale. Nelle grandi città sono abituati all’arrivo e alla presenza di personale straniero, vi è più movimento. Nei piccoli villaggi, che non hanno relazioni con l’esterno, le persone sono accoglienti, gioiose. i bambini sono curiosi, ospitali, vogliono toccarti, chiacchierare e giocare con te.. tutti si salutano, ma soprattutto si sente un forte spirito di comunità in cui tutti si conoscono. È veramente sorprendente sentire questo calore umano.

Qual è il Paese in cui hai trovato difficoltà?

Credo la Repubblica Centroafricana. È uno dei Paesi più poveri al mondo, in cui la difficoltà principale è la mancanza di mezzi per poter lavorare, ma è anche il Paese che più mi è rimasto nel cuore.
Mentre in Burkina Faso oggi vi è un grosso problema di sicurezza. Rispetto alle mie prime missioni, dal 2010 ad oggi ho visto un notevole cambiamento nel Paese: da veramente tranquillo a piuttosto pericoloso per via degli attentati terroristici che dal 2016 colpiscono talvolta la capitale e soprattutto la zona nord ed est della nazione.

Per quanto riguarda gli altri continenti?

Ho svolto missioni in Perù e in Vietnam.
In entrambi i casi mi ha impressionato la stretta convivenza tra standard di vita elevati e la povertà anche più evidente rispetto ad alcuni Paesi dell’Africa. Ad esempio, a Lima, in Perù, questa diversità risalta in maniera prepotente: da un angolo all’altro dello stesso quartiere lo scenario che si incontra cambia completamente.
Anche l’esperienza in Vietnam è stata forte: si passa da metropoli sviluppate e turistiche come Hoc Chi Minh a villaggi nel sud del Paese in cui la povertà è estremamente elevata.

 

 

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